Tematisma
Metalli
Il percorso illustra i momenti significativi dell’evoluzione
nell’uso dei metalli e le principali tecniche di lavorazione applicate.
Galleria dei banchieri
e degli zecchieri
Suggestivo invito alla sala I metalli e la moneta, grande forziere
che custodisce i tesori metallici giunti sino a noi dalle viscere del
tempo, è questa “galleria”, che prende il nome dai bassorilievi che ne
decorano le pareti, realizzati da ex allievi della Scuola dell’Arte
della Medaglia della Zecca di Stato italiana su disegno dello scultore
Guido Veroi.
All’arte di batter moneta in età romana presso il
tempio di Giunone Moneta sul Campidoglio e alle fasi della lavorazione
del metallo, dall’incisione dei conii alla fusione dei metalli, dalla
battitura dei tondelli alla verifica delle monete, sono dedicate le
scene rappresentate sul bassorilievo posto a sinistra dell’ingresso,
mentre alla maestria di far di conto in età antica si riferiscono le 7
botteghe di cambiavalute che si aprono sulla parete destra, suggestiva
finestra sul Foro romano, la piazza fulcro delle attività economiche
dell’antica Roma.
Due imponenti figure affrontate della
dea Moneta, con bilancia e cornucopia, e della
Liberalitas,
con abaco e cornucopia, poste ai lati della centrale imponente porta
blindata, introducono il visitatore in un percorso segnato dalle tappe
salienti della nostra storia economica.
Aspetti tecnici
La lavorazione dei metalli,
nata nella prima età neolitica in Asia Minore, è certamente legata alla
presenza di giacimenti sul territorio. La prima lavorazione dei
minerali, consistente nella colatura in lingotti, avveniva nei pressi
delle aree estrattive, da dove partivano rotte commerciali dirette ai
centri di produzione e vendita. Nella nostra penisola il più ricco
distretto minerario era certamente quello dell'Elba, da dove proveniva
il ferro lavorato dagli etruschi: le fonti antiche parlano di "ferro
populonio" riferendosi alla presenza di fonderie nel territorio di
Populonia.
Fra il VI ed il V sec. a.C. centri di produzione di
vasellame bronzeo sono documentati nella Grecia nord-occidentale, nelle
città dell'Acaia, da dove proviene verosimilmente un ristretto numero di
vasi rinvenuti anche in Magna Grecia, mentre dal III sec. a.C. in
avanti le fonti citano Capua e Nola come centri di lavorazione
specializzati. Da Augusto in poi quasi tutte le miniere divennero di
proprietà imperiale.
Le tecniche di lavorazione sono rimaste
sostanzialmente invariate nel corso dei millenni. Fusione, martellatura e
sbalzo, vengono adoperate singolarmente o applicate secondo
combinazioni diverse in base al tipo di oggetto da produrre; la
monetazione conosce come tecnica specialistica la coniazione; per la
realizzazione e la finitura di preziosi si utilizzano invece la
granulazione, la godronatura, la filigrana, la niellatura e l'opus
interrasile.
L'oreficeria in particolare, oltre alla fusione ed allo sbalzo, conosce delle tecniche specialistiche.
La
granulazione, diffusa nel bacino del Mediterraneo dai Fenici, consiste
nella realizzazione di microsfere d'oro (granuli) che vengono saldate
sulla superficie dell'oggetto adoperando un metallo la cui temperatura
di fusione sia diversa e più bassa di quella dell'oro. Il procedimento
per la realizzazione delle sferette prevedeva probabilmente il
riscaldamento di piccolissimi segmenti d'oro mescolati a carbone,
finché, per fusione, non si formassero dei piccoli grani sferici.
La
godronatura prende il nome dall'attrezzo adoperato per la lavorazione:
il godrone viene fissato ad un tornio, a cui si accosta l'oggetto da
decorare; il movimento del tornio fa si che venga abrasa la superficie
in sottili scanalature che creano una decorazione in rilievo.
La
filigrana consiste nell'intrecciare sottili fili di metallo, saldandoli
con lo stesso materiale. Non si sa bene come gli artigiani
dell'antichità realizzassero i fili: probabilmente, dopo aver tagliato
delle striscioline dai fogli di metallo le si faceva passare, sfruttando
la grande duttilità dell'oro, attraverso delle filiere simili a quelle
moderne, costituite da grani forati in pietra dura. Con la filigrana
oltre ad ottenere dei gioielli “a giorno” si realizzavano anche elementi
decorativi da applicare ad oggetti in lamina.
Alla niellatura si
faceva ricorso per creare una decorazione di colore scuro sull'oro o
sull'argento; consisteva nel disegnare dei solchi a bulino che venivano
poi riempiti con una miscela di rame, argento, piombo, zolfo, croceo e
borace.
L'opus interrasile, diffuso in ambiente romano a partire dal
III sec. d.C., consiste nel lavorare una lamina a traforo, cioè
ritagliandone una parte secondo un preciso disegno, ed ebbe particolare
fioritura nel periodo bizantino.
Per la realizzazione di utensili,
suppellettile ed armi si utilizzavano la fusione e la battitura. La
decorazione del vasellame in bronzo o d'argento, e talora anche degli
utensili, avveniva per agemina. L'agemina consisteva nel creare un
intarsio tramite l'inserimento di fili e lamine di metallo presioso in
alloggiamenti appositi ricavati su oggetti in metallo meno nobile.
La
fusione, per ottenere dei pani o, nel caso delle leghe, per miscelare i
metalli puri, è comunque l'operazione preliminare a tutte le altre.
La
plastica in metallo si serve della lavorazione diretta o della fusione a
cera perduta. La lavorazione diretta, che è la più antica forma di
lavorazione dei metalli, si applica alle lamine. Per la realizzazione di
statue di grandi dimensioni essa consiste nel fissare le lamine ad un
supporto rigido, del quale prendono la forma per battitura
(martellatura); questa operazione provoca un irrigidimento della lamina,
per cui si deve procedere ad un nuovo riscaldamento della stessa,
definito “ricottura”, al fine di renderla malleabile ed evitando allo
stesso tempo che essa perda la forma acquisita. Il lavoro viene
completato con una rifinitura a cesello o a bulino; talora l'artista
esegue separatamente alcune parti per poi applicarle all'opera
saldandole con lo stagno. Gli oggetti piccoli ed i bassorilievi sono
lavorati a sbalzo, cioè poggiando la lamina su un cuscino di materiale
cedevole in grado di assorbire i colpi e lavorandola dall'interno con
martelli e punzoni per conferirle la forma desiderata. La fusione a cera
perduta, attestata in Grecia già dal VI sec. a.C., parte dalla
realizzazione di un modello in cera, lavorato con cura e completo di
tutti i particolari, fissato ad un nucleo di terracotta; sulla cera si
stende uno strato di argilla e si procede alla cottura. Il riscaldamento
fa sciogliere la cera, che fuoriesce da appositi canali approntati
nell'argilla, e lascia lo spazio per la colata di metallo, che
riempiendo il vuoto assumerà la forma del modello originario. Per le
statue di grandi dimensioni si preparano singolarmente le varie parti,
che vengono poi assemblate. Una volta liberato il metallo dall'argilla
si può procedere alla rifinitura con cesello, raspa e bulino. Il metallo
più adoperato nella fusione è certamente il bronzo, una lega di rame e
stagno che può contenere talora anche del piombo in piccole quantità, ma
questa tecnica ha larga applicazione anche nel campo dell'oreficeria.
Una variante della fusione a cera persa consiste nella cd. fusione a
tasselli: dopo aver realizzato una matrice in terracotta perfettamente
rifinita vi si applica del gesso, così da ottenere un calco, che di
solito è eseguito in più pezzi (tasselli). All'interno del tassello si
stende un sottile strato di cera, e tutti i tasselli, assemblati,
vengono chiusi su un'anima in materiale refrattario. L'ultima fase
coincide con la colatura del metallo, secondo le stesse modalità
applicate nella fusione a cera persa. Il vantaggio di questa tecnica
risiede nella possibilità di utilizzare più volte i tasselli, di poterli
conservare smontati, e, dal punto di vista del risultato, di ottenere
prodotti in lamina molto sottile e leggera, con un notevole risparmio di
metallo.
Sviluppo storico ed evoluzione artistica
Mentre
la lavorazione del metallo per la fabbricazione di oggetti funzionali,
contenitori da cucina e da mensa, strumenti ed armi in metallo sorge e
si sviluppa nel tempo a partire dall’Eneolitico senza soluzione di
continuità, e la produzione di manufatti della piccola plastica risale
ad epoche protostoriche, potendo utilizzare la tecnica della fusione per
l’esecuzione di statuine ed ex voto, la riproduzione di soggetti
soprattutto umani di grandi dimensioni, richiedendo procedimenti tecnici
molto più complessi ed evoluti, invece, comincia a manifestarsi
soprattutto in Grecia con le opere, dei grandi artisti dell’epoca
classica, in gran parte perdute e note solo dalle fonti storiche e
letterarie, o dai pochi esemplari superstiti per lo più rinvenute in
mare, come ad esempio l’Auriga di Delfi, lo Zeus di Capo Sunion, i
celebri Bronzi di Riace, il Satiro Danzante.
Le statue greche,
generalmente in bronzo, vennero ampiamente riprodotte nel mondo romano,
dove è attestata la vasta diffusione di copie (cioè riproduzioni che si
differenziano dagli originali per qualche particolare) e repliche
(riproduzioni assolutamente fedeli agli originali). Delle officine di
copisti attive in territorio campano e noi è giunta testimonianza
diretta grazie al rinvenimento, nel 1954, di 430 frammenti di sculture
in gesso in un ambiente sottostante ad una delle terrazze del cd.
Settore della Sosandra del palatium di Baia (non si tratta della vera e
propria officina, ma di un semplice deposito). Lo studio e la
catalogazione dei reperti ha consentito di stabilire che si tratta di
calchi presi direttamente su originali bronzei: per la realizzazione dei
tasselli in gesso le parti più delicate dell'originale venivano
staccate, ove questo fosse possibile, o protette con della cera; sulla
superficie della statua veniva poi stesa una sostanza antiaderente che
consentisse il distacco del calco. In questo modo si poteva procedere ad
una riproduzione quasi industriale degli originali. Fra le dodici
sculture famose che sono state individuate a Baia si segnala il calco
della testa dell'Aristogitone eseguito direttamente sull'opera di
Kritios e Nesiotes.
Della grande plastica in bronzo dell’antichità
l’ultimo famoso esempio è il Marco Aurelio sopravvissuto, come è noto
perché ritenuto la statua equestre dell’imperatore cristiano Costantino,
all’attività demolitrice tipica dell’epoca soprattutto massiccia in
epoca tardo antica medioevale, connessa all’ampio riutilizzo del
metallo.
Non a caso la produzione di opere di grande plastica in
metallo ricompare nel periodo Rinascimentale, in particolare con il
Cellini, nel quadro di una cultura artistica che ideologicamente intese
ispirarsi a tecniche, forme, stile e soggetti antichi, per poi
svilupparsi con continuità ed esiti diversificati nel tempo sino ad
epoca contemporanea.
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